MONDIALE 2022 – ALLA SCOPERTA DEL QATAR: LA NAZIONALE CHE VUOLE FARE LA STORIA

E’ iniziato oggi il Mondiale in Qatar che già dalla sua assegnazione 12 anni fa si è rivelata una delle edizioni più discusse e controverse del torneo ideato da Jules Rimet. Dal 1930 ad oggi mai si era giocato con questo calendario e tutto quanto per permettere di giocare nel paese della famiglia Al Thani che sarebbero quelli che si dice vogliono acquistare la Sampdoria.

La nazionale padrona di casa degli Al-Annabi (i marroni) arriva alla prima partecipazione ai mondiali da campione d’Asia e con l’obiettivo di mostrare al mondo che esiste un altro Qatar che va oltre le ombre della violazione dei diritti umani come troppo spesso si parla quando si arriva nei paesi della penisola arabica.

Le più veementi critiche mosse verso l’assegnazione del Mondiale al Qatar si muovo anche dal punto di vista puramente sportivo derivanti dall’assoluta mancanza di una tradizione storica legata al calcio. Lo sport più popolare del mondo arrivò effettivamente tardi a Doha e dintorni. E’ opportuno ricordare come il Qatar fino al 1970 è stato un territorio sotto il protettorato del Regno Unito dal 1916. Furono proprio gli inglesi, nel secondo dopoguerra, ad organizzare le prime partite e competizioni nei pressi delle raffinerie di petrolio dove si radunavano i lavoratori britannici emigrati. Per la nascita della federazione calcistica qatariota si sarebbe dovuto attendere fino al 1960, mentre l’esordio della nazionale arrivò dieci anni più tardi, dopo che il paese ottenne l’indipendenza.

Nonostante l’intervento diretto degli inglesi nel trapiantare il “football” in Qatar, anche con il passare degli anni la diffusione e la popolarità del calcio non presero piede come già successo in Europa e in Sud America. I primi 10 anni di calcio qatariota sono infatti strettamente circoscritti a competizioni che vedevano le sole nazioni del golfo persico tra i partecipanti, fino alla prima competizione continentale con la Coppa d’Asia disputata nel 1980. Al contrario di quanto si possa pensare però, non sarà la prima volta che il Paese ospita un importante torneo calcistico, visti i precedenti proprio in Coppa d’Asia nel 1988 e 2011 e le diverse organizzazioni della Coppa del Golfo.

La grande svolta per la diffusione del calcio in Qatar, e per il paese stesso per farsi un nome a livello globale in ambito sportivo, è da collocare però soltanto nel 2004. Questo è l’anno in cui viene fondata l’Aspire Academy, che potremmo definire un vero e proprio laboratorio sportivo del paese arabo. All’interno di un’area di 2,5 km quadrati di Doha (la Aspire Zone), giovani atleti provenienti dall’emirato e da molti paesi africani vengono formati e istruiti. Una vera e propria “Università dello Sport” in cui gli emiri della famiglia Al Thani hanno riunito alcune delle personalità più importanti a livello globale, come l’attuale CT Felix Sanchez Bas, ex responsabile tecnico del settore giovanile del Barcellona. L’accademia lavora ormai da anni sui giovani talenti del calcio africano ed asiatico, che spesso lancia nei club di proprietà in Europa (KAS Eupen, LASK Linz e Cultural Leonesa) oltre che nei club e nella nazionale qatarioti. Anche i ragazzi stranieri nella maggior parte dei casi, oltre alla “laurea”, nell’istituto dello sport acquisiscono anche la cittadinanza qatariota, in modo da rappresentare il paese che li ha cresciuti e formati.

Ciò nonostante, negli ultimi 5 anni, cioè da quando Sanchez Bas siede sulla panchina del Qatar, la politica sull’utilizzo di giocatori naturalizzati in nazionale ha avuto un’inversione di tendenza. Il tecnico spagnolo ha improntato il suo Qatar sullo sviluppo di un gruppo nuovo, giovane (età media di 24 anni) e ben affiatato che – fino a questo momento – lo ha ben ripagato con l’exploit del trionfo in Coppa d’Asia del 2019. Sette vittorie in altrettante partite e un solo gol subito hanno portato al primo trofeo continentale, frutto di un lavoro iniziato 15 anni prima e che sembra lontano dalla sua conclusione. Le politiche economiche e sportive dell’emirato sembrano infatti poggiare ancora su un progetto a lungo termine. Nel frattempo, la nazionale è chiamata all’impresa di dimostrare il valore sportivo, aldilà di quello economico, degli investimenti fatti negli ultimi 18 anni dagli emiri. La grande occasione è il Mondiale da giocare in casa, con la speranza e l’obiettivo di imporsi in uno sport storicamente lontano dalle terre sabbiose del golfo persico.

La nazionale qatariota dovrà convivere con delle pressioni non indifferenti perchè da perdere c’è molto. Un fallimento sportivo porterebbe portare alla luce tutte quelle controversie che al momento risultano sopite. La scommessa fatta 12 anni fa deve portare a far diventare il calcio un fenomeno di massa. Le gare del girone A contro Equador, Olanda e Senegal rappresentano un vero e proprio crocevia per una nazione che vuole iscriversi nella mappa del calcio mondiale.

Il rischio è quello di entrare nei libri di storia dalla porta sbagliata e passare per la nazionale che si comprò il diritto di partecipare ad un Mondiale.

di Luca Pesenti

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